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L'editoriale

di Luca Martorelli

Gli automatismi.


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Nonostante ormai i tanti anni di esperienza e le non poche primavere trascorse, ancora oggi la cosa che più mi entusiasma e mi soddisfa nello sport è l'apprendimento di nuovi automatismi. Quella particolare magia che fa nascere dal nulla qualcosa di efficace, efficiente, bello e spontaneo, che un giorno inaspettatamente accade durante una gara.
Ma cos'è un automatismo? Si definisce tale, un gesto motorio che viene generato in modo, appunto, automatico, al verificarsi di un determinato evento esterno o di uno stimolo interno: stimolo >> risposta.
A differenza di un movimento volontario, quello automatico ha il vantaggio di essere più economico, dal punto di vista energetico, più rapido nell'esecuzione e nei tempi di reazione. In pratica, negli sport di situazione, quindi anche in quelli di combattimento, è l'elemento fondamentale nella prestazione di ogni atleta. Senza buoni automatismi, le speranze di vittoria sono minime.
Dal punto di vista fisiologico, creare un movimento automatico significa spostare la generazione dello stesso dalla corteccia celebrare al cervelletto, quindi significa alleggerire l'impegno cognitivo dell'atleta, che non necessità di particolare attenzione durante l'esecuzione del gesto. Infatti, il movimento automatico si genera "da solo" al verificarsi di una certa situazione, e viaggia autonomamente durante l'esecuzione. L'unico intervento volontario che l'atleta potrebbe adottare è quello dell'interruzione anticipata o di un cambio di velocità:
Evento >> azione di risposta >> la situazione cambia >> decido di interrompere l'azione per fare qualcos'altro



Il tempo di reazione che differisce fra un gesto automatico e uno volontario è la differenza che esiste tra il successo e l'insuccesso di un'azione. Negli sport di situazione molto spesso si prendono decisioni in frazioni di secondo, e non è possibile farlo in modo efficace con azioni volontarie, perché molto più lente di quelle automatiche.
I memorabili dribbling di Maradona, da metà campo fino alla porta avversaria, erano l'esempio di perfetti automatismi concatenati e adattati al contesto specifico dell'azione; le prodigiose azioni di busto di Muhammad Alì che, con grande naturalezza, mandavano i suoi avversari fuori misura... a "cogliere le margherite", erano anch'esse il risultato di meravigliosi automatismi difensivi, frutto di talento ma soprattutto di tanto e tanto lavoro ripetuto in allenamento.
"Ripetuto" è proprio il termine giusto. Sì, perché per poter generare un automatismo, sono necessarie migliaia e migliaia di ripetizioni di quel determinato gesto. E più il gesto è complesso, più volte è necessario ripeterlo per automatizzarlo.
Ma come si crea un corretto automatismo negli sport di combattimento? Ripetendo un dato movimento migliaia di volte, esattamente come lo vogliamo ottenere in gara. Semplice no?! Direi non proprio.
Esistono vari livelli di automatismi negli sport di combattimento, dagli apprendimenti più semplici ai più complessi:

  • singole tecniche di attacco;
  • singole tecniche di difesa;
  • combinazioni di più tecniche di attacco;
  • combinazioni di più tecniche di difesa;
  • combinazioni difesa/attacco, attacco/difesa, attacco/difesa/contrattacco;
  • movimenti elusivi e finte, sia in attacco che in difesa.
Affinchè l'automatismo sia efficace, esso deve essere appreso correttamente sotto tutti i punti di vista. Molto spesso, l'insegnante si sofferma solo sull'aspetto tecnico dell'automatismo, cioè sul fatto che il pugno diretto, ad esempio, sia portato nella corretta modalità (rotazione di tutta la catena cinetica, traiettoria diretta sul bersaglio, richiamo del colpo a fine esecuzione e così via). Questo sicuramente è un aspetto fondamentale e di solito rappresenta il primo passo di apprendimento di un movimento tecnico, ma non è l'unico da considerare... l'automatismo non finisce lì.
Almeno altri tre aspetti devono essere presi in considerazione al fine di creare un corretto ed efficace automatismo:
  • la distanza;
  • il tempo;
  • l'adattabilità al contesto.
L'atleta può avere una esecuzione del pugno diretto da manuale, ma cosa accade se il bersaglio invece di essere un sacco (quindi fisso) diventa un avversario vero? Accade che intervengono altre importanti valutazioni ed interpretazioni che l'atleta deve compiere, affinchè il colpo arrivi correttamente a bersaglio. La distanza cambia continuamente, la velocità esecutiva deve essere la migliore possibile nonostante le interferenze dell'ambiente esterno (in particolare l'avversario), le traiettorie e gli angoli efficaci possono essere molto diversi a seconda delle situazioni.
E quindi? Si passa pertanto alla seconda fase di apprendimento, il pugno diretto perfettamente automatizzato in un contesto standard, adesso necessità di ulteriori automatismi in contesti differenti: in fase di attacco, di difesa, in uscita laterale, in uscita diagonale, in contrattacco da un calcio, in contrattacco da un pugno, ecc. ecc. fino all'infinito!
Sì, perché le variabili in uno sport di situazione sono quasi infinite, ed ogni variabile rappresenta un diverso automatismo. Badate bene, non una diversa tecnica, ma un diverso contesto di applicazione della stessa tecnica, quindi un diverso automatismo che deve essere creato. Per intenderci, se sono molto bravo ed efficace nel fare un passo avanti e tirare un pugno diretto a bersaglio, non lo sono altrettanto se devo fare la stessa tecnica abbinata ad un passo indietro, a meno che non ho allenato bene anche il secondo automatismo. È chiaro che non sono cose che si possono improvvisare in combattimento, o l'automatismo esiste, oppure sono fottuto!
Ovviamente, l'atleta non può e non deve creare tutti i possibili automatismi del mondo, ma si dovranno selezionare quelli più frequenti, solitamente più efficaci, e soprattutto più adatti alle caratteristiche dell'atleta stesso.
La velocità di esecuzione, ad esempio, è un parametro molto importante. Se apprendo un movimento in modo lento e poi questo diventa un automatismo, la lentezza sarà parte integrante di quel movimento, quindi lo eseguirò sempre in maniera lenta quando l'automatismo scatta. È quindi fondamentale, fatta eccezione per le prime fasi di apprendimento, che l'assimilazione del movimento avvenga alla corretta velocità, cioè quella di gara.


Diverse volte mi è capitato di assistere a situazioni in cui il coach dall'angolo incita il suo atleta nel fare determinate cose: "tira i colpi più veloci!", "sposta a destra e tira il diretto destro!", "blocca il lowkick e calcia con la stessa gamba!", ecc. ecc. La domanda che bisognerebbe porsi in questi casi è: siamo sicuri che le richieste che stiamo facendo al nostro atleta rientrino fra gli schemi automatici da lui già acquisiti? Perchè se ci illudiamo che un atleta in gara, sotto stress, e magari in svantaggio rispetto all'avversario, possa essere in grado di applicare delle indicazioni tattiche non supportate dai giusti automatismi, già allenati e acquisiti, beh, è certo che stiamo perdendo tempo! Anche ammesso che riuscirà a farlo, l'azione risulterà sicuramente lenta e poco precisa, perché come spiegato in precedenza, un movimento volontario è molto più lento di uno automatico, e può funzionare solamente con un avversario che è nettamente inferiore o più lento del nostro atleta.
Ultima considerazione, creare automatismi non significa creare degli automi (persone prive di volontà che compiono azioni meccanicamente), bensì, dare la più ampia gamma di possibili risposte automatiche a situazioni di gara, che regaleranno all'atleta la possibilità di abbattere il carico cognitivo sui propri movimenti, con l'obiettivo di spostare l'attenzione principale sull'avversario. Più l'età dell'atleta è giovane, più la gamma di apprendimenti deve essere ampia e meno specializzata possibile. Quel giovane atleta, da grande, se vorrà continuare, sarà certamente un grande atleta!

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