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L'editoriale

di Luca Martorelli

Il riscaldamento.

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Il termine riscaldamento, comunemente utilizzato per indicare la fase preparatoria ad un allenamento o competizione, trae un po' in inganno, in quanto sottolinea solo uno degli aspetti importanti, cioè l'aumento della temperatura corporea. La fase preparatoria, invece, ha molteplici funzioni che vanno ben oltre l'aumento della temperatura, e cercherò di descriverle sinteticamente in questo articolo.

Intanto partiamo dalla domanda fondamentale: serve fare il riscaldamento?

Seguire questa pratica prima di ogni attività fisica impegnativa è ormai una prassi consolidata. Negli ultimi anni, però, è iniziata a trapelare l'idea che non fosse necessario prepararsi ad un'attività impegnativa, sostenendo tesi del tipo: "il riscaldamento non serve, gli uomini primitivi prima di lottare fra loro o di cacciare una preda non facevano certo il riscaldamento!". Affermazione apparentemente vera, che denota però un approccio molto superficiale all'argomento.

Certamente l'uomo di Neanderthal non aveva le conoscenze culturali e scientifiche per sapere che un buon riscaldamento avrebbe migliorato le sue prestazioni e limitato gli infortuni, ma sicuramente, in modo istintivo come fanno anche gli animali, faceva un certo tipo di attività preparatoria. Attraverso l'attivazione psichica conseguente ad emozioni forti come paura, rabbia, aggressività, si predisponeva nelle migliori condizioni, anche dal punto di vista fisico, per affrontare l'impegno imminente: aumento della respirazione e della frequenza cardiaca, scariche di adrenalina, incremento dei livelli ormonali e quant'altro. Esattamente quello che accadrebbe se un uomo di oggi venisse aggredito improvvisamente in mezzo alla strada. Di certo non ci sarebbe tempo per fare un riscaldamento!

Queste però rappresentano situazioni imprevedibili, di necessità improvvisa e assolutamente infrequenti, da cui oltretutto molto spesso se ne esce malconci, non tanto per lo scontro fisico in sè, quanto piuttosto per aver fatto una "prestazione" massima in brevissimo tempo, senza risparmiarsi e senza prepararsi adeguatamente. In tal caso lo scopo era salvare la pelle a tutti i costi!

Bene, pensate di poter riprodurre questo "modello di riscaldamento" prima di una prestazione sportiva, allenamento o gara che sia? Considerando la frequenza con cui ci si allena, 3 sedute settimanali nella migliore delle ipotesi, 8/12 nella peggiore, pensate sia vantaggioso per la prestazione e per la vostra salute?
Beh, da esperto in materia e come praticante di sport da quaranta anni, mi sento di dire: assolutamente no.
È chiaro che se un giorno vi trovaste per necessità a dover affrontare una competizione "a freddo", perchè vi hanno chiamati all'improvviso sul tatami, potrete comunque combattere, magari vincendo anche, ma non sarà quella la massima prestazione che sareste stati in grado di compiere quel giorno facendo un corretto lavoro preparatorio. Un conto è far fronte ad una necessità improvvisa ed imminente, un altro conto è dedicarsi costantemente ad un'attività ad alto rischio di lesioni e di sovraccarico in modo continuo e ripetuto, cioè la prestazione sportiva.

Fatta questa premessa, nella speranza di aver convinto anche i maggiori detrattori sulle teorie del riscaldamento e i più pigri, passiamo al cuore dell'argomento.

Come avrete visto, poco sopra ho volutamente sottolineato la parola "corretto". Infatti, come ogni cosa, se la si fa bene è possibile ottenere il massimo dei benefici, altrimenti può essere addirittura controproducente.

Per essere corretto il riscaldamento deve prima di tutto essere specifico, sotto tutti i punti di vista. Specifico per il tipo di sport, per il tipo di allenamento (forza, resistenza, tecnica...), per il livello di atleta (principiante, avanzato, agonista...), per la tipologia di persona (età, sesso, caratteristiche fisiche varie). La specificità è quindi l'elemento che permette di prepararsi al meglio ad un evento, in base alle proprie caratteristiche e necessità. Di conseguenza, il riscaldamento è sempre diverso a seconda della finalità e delle peculiarità di chi lo utilizza.

Altra caratteristica importante per un buon riscaldamento è la durata. Troppo breve rischia di non essere efficace, troppo lungo diventa controproducente: affatica inutilmente, diminuisce le riserve energetiche necessarie alla prestazione.

Quali sono gli effetti positivi di un buon riscaldamento?

Alcuni sono legati all'innalzamento della temperatura corporea:

  • aumento della viscosità dei tessuti muscolare e tendineo, che porta a maggiore facilità di movimento per il minore attrito;
  • incremento della termoregolazione;
  • aumento delle reazioni metaboliche, favorendo l'utilizzo dei meccanismi energetici;
Oltre a questi, ci sono ulteriori importanti effetti positivi:
  • maggiore apporto di nutrienti a seguito dell'aumentato flusso sanguineo;
  • maggiore scambio gassoso a livello cellulare;
  • incremento nella conduzione dell'impulso nervoso;
  • predisposizione psichica alla gara o alla prestazione di allenamento.
Il riscaldamento si divide in due fasi:
  • generale;
  • specifica.


Si inizia con la parte generale, incentrata principalmente sull'innalzamento della temperatura corporea, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria e sulla preparazione muscolare di base, divisa in: core-training, arti inferiori, arti superiori. In questa ultima parte muscolare viene inclusa anche la mobilità articolare dinamica (per approfondimento su questi argomenti vedi libro "Esercizi atletici per sport e fitness" edizione Hoepli 2015).

Segue poi la fase specifica, in cui si focalizza l'attività sull'obiettivo che abbiamo in quel momento, ad esempio una seduta di allenamento per la forza, oppure per la rapidità, oppure una gara di Kickboxing. Pertanto vengono eseguiti esercizi specifici in forma ridotta, sia in termini di numero di ripetizioni che di intensità, in modo da garantire la preparazione prevalentemente del sistema nervoso, senza però provocare affaticamento eccessivo. Questa è la fase in cui si ha la maggiore attivazione psichica dell'atleta, nella quale alcuni usano introdurre anche esercizi di mental-training.

Tenendo presente quanto detto in precedenza, cioè che un corretto riscaldamento deve essere specifico per le singole situazioni, si potrebbero comunque indicare dei parametri generali orientativi.
La durata ottimale può oscillare dai 15 ai 45 minuti. Di questi, il 30-40% finalizzato alla fase generale e il 70-60% alla fase specifica, quando l'obiettivo è la gara oppure un allenamento di alta intensità per il sistema nervoso centrale. Altrimenti, potrebbe essere più congeniale una distribuzione del 50-60% fase generale e 50-40% fase specifica.

Il mio personale riscaldamento pre-gara è strutturato in circa 30 minuti, di cui 15 scarsi per la parte generale ed il resto per quella specifica. A questo si aggiunge il lavoro mentale necessario per entrare al meglio nella competizione. Con il tempo e l'esperienza, capirete qual è la giusta routine preparatoria per voi, l'importante è saper ascoltare il proprio corpo, capire cosa è necessario e cosa no. Percepire le sensazioni, soprattutto durante le prime fasi di gara, può darvi molte indicazioni sulla bontà del vostro riscaldamento. Se invece il vostro obiettivo è prepararvi all'allenamento, quando imparerete a "riscaldarvi" adeguatamente, vedrete le vostre prestazioni migliorare in modo stupefacente, e soprattutto sarete sempre meno a rischio infortunio, che rimane comunque l'obiettivo più importante per tutti.

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